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Anagogia: 'Pillole? Un album di stati d'animo e rivincita'

Anagogia: 'Pillole? Un album di stati d'animo e rivincita'

Intervista a Marco Maniezzi, classe 1993, in arte Anagogia. La nuova promessa del rap italiano ci parla del suo album d'esordio, "Pillole".

Hai chiamato il tuo primo album "Pillole". Perché?

L’ho chiamato così per il semplice motivo che, in quel  periodo della mia vita, le pillole avevano assunto un valore simbolico. Sembravano l’unica via di uscita a tutti i problemi che si stavano accavallando e ingigantendo uno sopra l’altro. Pillole non è inteso come droga o pillola sotto forma di calmante, ma come medicinale e calmante per stare meglio. Piuttosto che andare sulle pillole in senso stretto, ho preferito sorvolare costruendo una storia e un disco che mi permettessero di sfogarmi.

Quindi questi brani vogliono essere pillole di vita e di saggezza?

Assolutamente. La tracklist spiega molti stati d’animo. Ad esempio, “droghe” paragona gli effetti delle sostanze stupefacenti ad alcune situazioni. O anche “Devil’s Advocate”, che prende ispirazione dal film “L’avvocato del diavolo”. Il disco è studiato per raccogliere tutti gli stati d’animo di quel momento.

“Panic Room” è come un grido d’aiuto. Qual era il tuo stato d’animo in quell’istante?

La canzone è arrivata in un momento in cui avevo bisogno di una via d’uscita che non fosse l’autodistruzione con qualcosa. Canticchiavo la melodia, sulla quale poi ho portato alcune parole. Infine, mi è venuta in mente la frase “ho bisogno di calma”, intorno alla quale ho costruito tutto. So che a primo impatto è una frase che può sembrare banale, ma nel momento in cui ti trovi davvero a vivere una condizione simile, dai importanza al vero significato della frase.

Hai detto che questo disco lo senti già un po’ datato. Qual è il motivo di questa tua affermazione?

Non è che non lo sento più vicino a me, è mio e non poteva essere diverso. E’ più che altro la sensazione che hai quando fai un lavoro su commissione che, per qualche motivo, rimane congelato. Io posso anche sentirlo un po’ vecchio perché è di due anni fa. Ho avuto anche la tentazione di metterci mano e modificarlo, ma subito dopo ho realizzato che Pillole è nato per essere così e tale deve rimanere.

In questo album c’è un feat. con Raige e uno con Ensi. Come li hai conosciuti?

Ho conosciuto Raige ad una gara di freestyle in cui ero concorrente e lui giudice. Alla fine della gara ci siamo parlati, mi fece i complimenti e poi ci siamo tenuti in contatto. Infine gli ho fatto sentire Pillole e, di lì a poco, ho conosciuto anche suo fratello Ensi. Quando ho portato il disco in Warner, aveva ancora poche tracce. Mi è sembrato naturale, quindi, aggiungere due feat con persone che non solo stimavo ma che conoscevo già.

Facciamo un passo indietro: come hai conosciuto il rap?

Io ascoltavo il punk. Poi un giorno in palestra, è passata la canzone “Lose Yourself” di Eminem e ne sono rimasto stregato, soprattutto dal video. Ho rotto le scatole a mia madre chiedendole di accompagnarmi a vedere “8 Mile”. Infine, ho parlato ad un mio amico di questo film e lui mi disse “ma sai che anche in Italia c’è gente che fa rap?” “Sì, caparezza!”, perché conoscevo solo lui. Allora il mio amico mi fece una compilation con pezzi di diversi artisti, da Lord Bean a Mondo Marcio e Bassi Maestro, passando per Fabri Fibra.

Hai partecipato a MTV Spit, il noto programma di battaglie freestyle. Vorrei sapere, secondo il tuo metro di giudizio, quanta importanza hanno il freestyle e la scrittura di testi.

Guarda, in tutta sincerità ritengo che il freestyle non sia fondamentale, ma penso che un MC debba provarlo per completezza. Inoltre, se scrivi i tuoi testi, il freestyle è un’ottima palestra. Io, ad esempio, ho iniziato a scrivere a 11 anni, a fare freestyle a 13 e a 14 ho cominciato a fare il beatmaker. Adesso ho smesso con le battle, perché sono uscito dalla mentalità dei contest.

A proposito di scrittura dei testi, nel genere rap è frequente la tendenza al dissing…

Beh dai, diciamoci la verità! I rapper di oggi non fanno dissing, si scambiano solo delle occhiatacce e battutine a vicenda. A me, onestamente, piace. Il rap è un genere molto preso male, si sta sempre a parlare di famiglia, dei soldi, della società in cui viviamo. Prendersi un pochino sul ridere con qualche frecciata non può che far bene.

Abbiamo già detto che questo disco è nato due anni fa. Vorrei sapere, tuttavia, se c’è una canzone di “Pillole” che oggi senti più vicino a te.

Sicuramente “Quattro”, il prossimo singolo. E’ una metafora del podio che, come sappiamo, è composto da tre gradini. Io mi sono sempre sentito il quarto, l’ escluso dal podio. Oggi essere a Milano per parlare con te è una piccola rivincita: di solito sono chiuso in camera a scrivere la mia musica, oggi invece sono qui per portare avanti la mia carriera! E, nonostante questa condizione di numero 4, posso comunque dimostrare di non essere inferiore a coloro che occupano le prime posizioni!